CinemaFestival di Venezia

È stata la mano di Dio, il capolavoro più intimo di Paolo Sorrentino

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Quando Paolo Sorrentino ha ringraziato Maradona alla consegna dell’Oscar come miglior film straniero de La grande bellezza in molti ci hanno visto semplicemente un omaggio alla sua fede sportiva, in realtà con È stata la mano di Dio scopriamo effettivamente che se non fosse stato per il Dios non avremmo forse avuto uno dei più grandi cineasti del nostro cinema. Paolo Sorrentino sbarca su Netflix e lo fa con il suo film più intimo, un affresco meraviglioso in cui la storia è incredibilmente quella della sua vita trascinando lo spettatore in un vortice di emozioni.

Ad aiutarlo c’è sicuramente Napoli, mai così protagonista in quello che è diventato a tutti gli effetti il suo figlio prediletto dal punto di vista artistico. Paolo Sorrentino omaggia Antonio Capuano in È stata la mano di Dio e probabilmente fa capire come abbia fatto a superarlo pur mantenendosi fedele al suo credo artistico. In questo film c’è tutto quanto abbiamo amato nella sua filmografia, a partire da un favoloso Toni Servillo che per una volta è semplicemente spalla di una meravigliosa Teresa Saponangelo e della sorpresa cinematografica dell’anno: Filippo Scotti ha il futuro nelle sue mani in un ruolo che, non solo per la citazione finale, può farlo diventare il Timothee Chalamet italiano.

Paolo Sorrentino finalmente dopo aver raccontato di tutto, da Andreotti con il Divo fino a Jepp Gambardella con la decadenza delle feste romane mette se stesso in un’opera che è già immortale. La sua è una vera storia da film e non si è voluto risparmiare nulla, scendendo nel dettaglio e in una dovizia di particolari a volte quasi esagerata. Il film nella prima parte è semplicemente spassosissimo ed intenso al contempo, forse sarebbe potuto durare una mezz’ora in meno ma in realtà le scene più vuote dal punto di vista narrativo sono probabilmente essenziali nella bellezza visiva che arricchisce ulteriormente un’opera unica nel panorama del nostro cinema.

Paolo Sorrentino dunque mette se stesso sul grande schermo invitando lo spettatore per la prima volta ad entrare nella sua mente, mostrando un coraggio è una maturità artistica che forse neppure lui aveva consapevolezza di avere.

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